Senato della Repubblica - 1-00232 - Mozione sulla scuola paritaria e il diritto alla libertà di scelta educativa.
Senato della Repubblica - 1-00232 - Mozione presentata dalla il 12 maggio 2020.
- Il Senato,
premesso che:
il diritto alla libertà di scelta educativa è un principio sancito nel diritto nazionale e internazionale. In particolare l'articolo 30 della Costituzione afferma che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli. Ai sensi dell'articolo 33 della Costituzione italiana "La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali"; ai sensi dell'articolo 26, comma 3, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo "I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli". Ai sensi della risoluzione del Parlamento europeo sulla libertà d'insegnamento nella Comunità europea approvata il 13 marzo 1984: "in virtù del diritto che è stato loro riconosciuto, spetta ai genitori decidere in merito alla scelta della scuola per i loro figli fino a quando questi ultimi non abbiano la capacità di fare autonomamente tale scelta. Compito dello Stato è di consentire la presenza degli istituti di insegnamento pubblico o privato all'uopo necessari". La risoluzione dell'Assemblea del Parlamento europeo n. 1904, F-67075, Strasburgo, del 4 ottobre 2012, raccomanda, al comma 6.1, "di procedere rapidamente all'analisi richiesta per identificare le riforme necessarie a garantire in maniera effettiva il diritto alla libertà di scelta educativa";
la scuola paritaria è regolamentata dalla legge 10 marzo 2000, n. 62, contenente norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione, nonostante non risolva completamente quanto riconosciuto ai sensi dei suddetti articoli posizionando l'Italia al 47° posto al mondo in termini di garanzia della libertà di scelta educativa dei genitori; a 20 anni di distanza dall'approvazione della legge n. 62/2000, che ha sancito l'appartenenza delle scuole paritarie al sistema nazionale di istruzione e ne ha riconosciuto il ruolo all'interno del servizio pubblico, si leva da più voci un grido di allarme per scongiurarne la crisi incombente;
il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, detto "cura Italia", convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, che rappresenta il primo tra i provvedimenti aventi forza di legge con i quali è stato dato inizio alla cosiddetta fase 2 dell'emergenza COVID-19, nulla ha previsto a sostegno delle scuole paritarie, nonostante i tentativi di taluni gruppi parlamentari, all'infuori di poche risorse destinate alla pulizia dei locali e all'acquisto di dispositivi di protezione e igiene personali. La scuola paritaria non è esente dalle difficoltà connesse all'emergenza sanitaria scaturita dal propagarsi del virus COVID-19 che, se non opportunamente gestita, avrà una pesante ricaduta negativa su tutta la scuola;
tuttavia le scuole paritarie sono state, come tutti i soggetti protagonisti del sistema formativo italiano, sia pubblici che privati, destinatarie di quelle norme che ne hanno determinato la chiusura, o quantomeno disposto l'interruzione dell'attività didattica su tutto il territorio nazionale. Di altra natura sono le conseguenze che su quegli stessi enti si riverberano per effetto dell'impianto normativo dell'emergenza a seconda del tipo di soggetto erogatore del servizio che si prende in considerazione: mentre tutti gli enti erogatori di servizi di educazione e istruzione (le scuole statali, quelle private paritarie e quelle private non paritarie) sono destinatari delle stesse norme tra quelle previste per contenere l'espandersi del contagio in ragione del tipo di attività svolta, le conseguenze ulteriori rispetto all'applicazione della normativa emergenziale, per come sta prendendo forma nel nostro Paese, sono differenti perché prescindono dalla natura del servizio offerto, ma sono legate alla natura del soggetto che quel servizio eroga;
è proprio questa "schizofrenica" impostazione del sistema a produrre ulteriori conseguenze negative. Le scuole paritarie cioè, che la legge vuole "senza fini di lucro", per come è strutturato l'impianto normativo dell'emergenza possono fruire soltanto della cassa integrazione in deroga per i dipendenti, qualunque sia il loro numero. Non possono vantare né le garanzie che lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali assicurano per la gestione degli edifici che ospitano gli istituti scolastici, né le provvidenze economiche di cui, di converso, possono usufruire le scuole non statali e non paritarie che invece, avendo fini di lucro, strutturano la gestione della propria attività quale attività di impresa, dovendo farsi carico interamente di tutti quegli oneri che gravano comunque su quegli enti anche durante il periodo, come quello attuale, in cui non svolgono alcun tipo di attività didattica;
è evidente che, qualora si ritenga venuto meno l'obbligo del pagamento delle rette a seguito della chiusura delle scuole, al netto delle spese del personale, sostenute per una percentuale importante dalla cassa integrazione in deroga prevista dal decreto cura Italia almeno fino al 31 luglio 2020, le altre risorse necessarie al mantenimento in vita delle scuole paritarie mancano inesorabilmente all'appello. Per questo sono giustificate le preoccupazioni espresse dal consiglio permanente della CEI, secondo cui le scuole paritarie "se già ieri erano in difficoltà sul piano della sostenibilità economica, oggi - con le famiglie che hanno smesso di pagare le rette a fronte di un servizio chiuso dalle disposizioni conseguenti all'emergenza sanitaria - rischiano di non aver più la forza di riaprire"; oltre che dalla presidente dell'Unione superiore maggiori d'Italia (Usmi) madre Yvonne Reungoat e dal presidente della Conferenza italiana dei superiori maggiori (Cism) padre Luigi Gaetani, secondo cui, "senza un intervento serio dello Stato, il 30% delle scuole pubbliche paritarie sarà destinato a chiudere entro settembre, se non si dichiarerà bancarotta già entro maggio";
con l'ulteriore aggravio, come dicono ancora i vescovi italiani, "di alcuni miliardi di euro all'anno sul bilancio della collettività", e della mancanza dei servizi con cui supplirne l'assenza. Anche a non voler ricorrere, come in questo particolare frangente sarebbe consentito, a misure eccezionali e in deroga a quanto previsto dall'ordinamento, come quella della previsione di un fondo straordinario per sopperire all'emergenza, la soluzione potrebbe essere trovata proprio all'interno dell'ordinamento stesso, con l'incremento del fondo da assegnare alle famiglie previsto dall'art. 9 della legge n. 62 del 2000, con un intervento diretto delle Regioni a garanzia del diritto allo studio pure previsto dalla stessa legge, o con la detraibilità totale delle rette pagate dalle famiglie per garantire la frequenza a questo tipo di scuole. La fase 2 deve per questo sostenere e valorizzare il loro ruolo all'interno del sistema nazionale di istruzione;
oltre agli interventi di natura economica, l'enorme patrimonio umano e di strutture delle scuole paritarie (180.000 tra docenti e operatori scolastici, 12.000 sedi scolastiche distribuite su tutto il territorio nazionale) potrebbe rivelarsi utilissimo per agevolare la ripresa nel comparto istruzione. Come suggerito da CISM e UISM, le scuole paritarie, con la loro maggiore flessibilità, potrebbero cominciare ad accogliere almeno una parte degli alunni più piccoli durante le settimane iniziali della ripartenza, quando i genitori che riprenderanno a lavorare non sapranno come gestire i figli. Non solo: potrebbero mettere a disposizione delle scuole statali, a partire da settembre, una parte dei loro edifici, spesso non del tutto utilizzati, per garantire un sufficiente "distanziamento sociale", in una sorta di "patto educativo e civico" che rinsaldi quella visione unitaria del sistema nazionale di istruzione fatta propria dal dettato costituzionale e ribadita dalla legge n. 62, per molti versi ancora inattuata;
la crisi economica derivante dalla pandemia rischia di provocare la fuga delle famiglie dalle scuole paritarie a quelle pubbliche, per evidenti minori costi da affrontare. Questo sarebbe un problema non solo per le scuole paritarie come parte integrante del sistema scolastico, ma anche considerando che, specie in questo momento di scarsità di risorse del sistema scolastico pubblico, le scuole paritarie potrebbero fornire, con i loro spazi e le loro risorse, un forte aiuto e supporto in ottica sussidiaria. Meno scuole paritarie non vuol dire solo più studenti che passano alle scuole pubbliche statali, con i problemi di ordine sanitario e economico già visti. Ma vuol dire anche sottrarre il principale fornitore sussidiario del servizio scolastico che, proprio ora, potrebbe rivelarsi quanto mai prezioso;
analizzando i costi attuali a carico della spesa pubblica delle scuole paritarie e il costo stimato a causa di un loro abbandono, si propone che, tra gli interventi di ordine economico che la politica sta predisponendo in ogni settore e sostanzialmente per ciascuna categoria di lavoratori, servizi, imprese e famiglie, vi sia anche un intervento a favore delle famiglie degli studenti delle scuole paritarie nelle forme e nel quantum che saranno giudicate più opportune (ad esempio: detrazione, voucher o deduzione). A titolo di esempio, ipotizzando un contributo pari alla metà del costo medio per studente, come identificato dal Ministero dell'istruzione, per la platea di studenti menzionata (33 per cento), comporterebbe un costo per lo Stato di 2,4 miliardi di euro che si confronterebbero con un costo, nell'ipotesi di passaggio alla scuola statale, di almeno 4,9 miliardi di euro. Alternativamente, si potrebbero adottare i costi standard che comporterebbero una riduzione di circa 270 milioni di euro rispetto ai costi medi del Ministero. Questo contributo sostituirebbe gli attuali contributi diretti e indiretti, valevoli per 651 milioni di euro, comportando così un costo aggiuntivo per lo Stato di 1,78 miliardi di euro, a fronte di un extracosto stimato molto, molto più alto;
è evidente che tali risorse non sono modeste e di certo non è facile trovare, in questo momento in cui diversi attori hanno bisogno di aiuto, lo spazio fiscale necessario anche per questo settore. Troppo spesso però ci si perde nella dicotomia tra pubblico e privato senza rendersi conto che, in molti casi, si tratta solo di due elementi cardine di un unico sistema che mira a soddisfare bisogni e necessità spesso di primaria importanza. Difficilmente il sistema dell'istruzione potrà assolvere ai propri compiti, di fondamentale importanza per lo sviluppo del Paese, senza che i soggetti privati siano messi in condizione di superare questa crisi e continuare nel loro faticoso, incessante ma necessario lavoro;
in Italia sono 880.000 gli studenti che frequentano le oltre 12.000 scuole paritarie che svolgono servizio pubblico e sono inserite nel sistema nazionale d'istruzione. Secondo le stime, circa il 30 per cento di queste realtà non sarà in grado di riaprire a settembre. Il settore delle scuole paritarie, dunque, sarà soggetto a forti tensioni. Da una parte, i genitori tenderanno a spostare massicciamente i figli nelle scuole statali per fronteggiare la crisi e ridurre i costi di iscrizione, dall'altra si può prevedere un aumento dei costi fissi indotto dalle future regole del distanziamento sociale;
lo scenario sembra alquanto negativo specialmente per gli istituti statali che saranno costretti ad abbassare il livello del servizio, già in difficoltà dal difficile adattamento alle nuove regole di distanziamento in strutture già di per sé precaria, con il plausibile conseguente aumento dei costi;
secondo l'OCSE, uno studente della scuola paritaria costa allo Stato 500 euro ogni anno, mentre al nostro Paese ogni alunno iscritto negli istituti pubblici costa 8.200 euro, dunque i 300.000 studenti in più che si iscriverebbero alla scuola statale, qualora dovesse fallire il sistema di scuole paritarie, costerebbero alle casse pubbliche circa 2,3 miliardi di euro aggiuntivi;
l'introduzione del costo standard per studente e la conseguente attuazione della libertà di scelta educativa garantirebbero un risparmio certo per le casse pubbliche, persino nell'ipotesi in cui lo Stato italiano decidesse di spendere per l'istruzione di tutti gli studenti il costo standard per studente pieno, escludendo una qualsiasi compartecipazione delle famiglie (un risparmio di ben 2,8 miliardi di euro annui),
impegna il Governo a sostenere in maniera adeguata le scuole paritarie attraverso il sistema dell'applicazione del costo standard per studente, dando piena attuazione alle libertà di scelta educativa e attraverso la detrazione fiscale del 100 per cento delle rette in attesa.
(1-00232)