Senato della Repubblica - 3-01336 – Interrogazione sui contratti Assimutuo, ossia contratti di mutuo per l'acquisto della prima casa.

Senato della Repubblica - 3-01336 – Interrogazione a risposta orale presentata il 29 gennaio 2020.

 Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Premesso che:

la giurisprudenza di merito ha spesso sanzionato gli usi, abusi ed ordinari soprusi perpetrati per decenni dagli istituti di credito, in merito a clausole vessatorie nei contratti, portate in Tribunale, Cassazione e Consulta dall'azione dell'Adusbef: dall'illegale pratica vietata dall'art. 1283 del codice civile, ma consentita dagli "usi bancari" applicati per oltre mezzo secolo, di capitalizzare gli interessi sui prestiti effettuati dalle banche ogni 3 mesi, annualizzando quelli sui depositi, ai mutui usurari ed a tutta una serie di raggiri che hanno colpito milioni di utenti dei servizi creditizi;

nel 1999 la Suprema Corte ha chiarito, con le sentenze n. 2374/99 e n. 3096/99, che gli usi a cui si riferisce la disposizione sono esclusivamente quelli normativi in senso tecnico;

tra gli ordinari soprusi, i contratti Assimutuo, ossia contratti di mutuo per l'acquisto della prima casa, collocati in Italia tra il 1997 ed il 2000 da Abbey National Bank, la cui informativa faceva ritenere che, alla scadenza la polizza sottoscritta, avrebbe quantomeno garantito la restituzione del capitale o di una parte di quanto pagato. Infatti, lo schema del contratto prevedeva che il cliente pagasse ad Abbey la quota interessi del mutuo, mentre la quota capitale, pure versata dal cliente, venisse utilizzata per pagare il premio di una polizza, contratta con l'allora Commercial Union ed il cui ricavato, a scadenza, sarebbe stato versato alla banca a saldo del capitale mutuato. Nel 2004 Abbey National ha ceduto i mutui a Unicredit Banca per la Casa (nel 2010 incorporata da Unicredit Banca), che da quel momento è subentrata nel rapporto coi clienti incamerando la quota interessi. Non si è modificato, invece, il rapporto assicurativo con Commercial Union divenuto poi Aviva nel 2006. Lo schema prospettato non si è mai realizzato, a causa dello scarso rendimento del capitale investito, con conseguente richiesta al mutuatario di importi cospicui assolutamente inattesi. Poiché la buona fede contrattuale e la trasparenza sono alla base di tutti i rapporti negoziali, in quelli bancari, vigilati dalla Banca d'Italia, è fondamentale l'ordinaria diligenza qualificata da operatori che maneggiano il credito ed il risparmio, tutelati dall'articolo 47 della Costituzione. La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che l'istituto bancario deve sempre uniformare la propria condotta sia al canone di correttezza e buona fede (art. 1175 del codice civile), il quale deve sempre connotare il rapporto obbligatorio nelle diverse fasi attuative, che allo standard di diligenza qualificata dell'operatore professionale, art. 1176 del codice civile: "La buona fede negoziale, assurgendo a criterio oggettivo di valutazione del comportamento secondo i canoni di lealtà e probità, si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, trovando tale impegno solidaristico il suo limite unicamente nell'interesse proprio del soggetto tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell'interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico" (ex multis sentenza della Cassazione n. 14605/2004; n. 13345/2006; n. 10669/2008; n. 1618/2009; n. 22819/2010 e n. 23033/2011);

considerato che:

l'interpellanza 2-00030 del 27 marzo 2019 metteva in rilievo la prassi di Abbey National Bank, che tra il 1997 e il 2000 aveva piazzato migliaia di prodotti "Assimutuo", con uno schema contrattuale che addossava al cliente il pagamento della quota di interessi del mutuo mentre la quota capitale, versata dal cliente, veniva utilizzata per pagare il premio di una polizza "Commercial Union" il cui ricavato a scadenza sarebbe stato versato alla banca a saldo del capitale mutuato;

il prodotto era commercializzato al cliente sulla base della comunicazione fraudolenta secondo la quale, a scadenza del mutuo e della polizza, il ricavato di quest'ultima sarebbe servito ad estinguere integralmente la quota capitale del mutuo. Così non è stato per lo scarso rendimento del capitale investito, con conseguente richiesta al mutuatario di importi cospicui assolutamente inattesi; in tali mutui è previsto che la quota di interessi venga pagata alla banca, mentre la quota di capitale viene riscossa mediante una o più polizze assicurative dalla Aviva Life SpA, già Commercial Union, con il mutuatario che stipula la polizza aderendo però alla convenzione stipulata tra la banca e l'assicurazione, mediante un collegamento negoziale tra mutuo e convenzione assicurativa; nella convenzione assicurativa è scritto chiaramente che la polizza coprirà quantomeno la quota capitale che al termine del mutuo verrà liquidata alla banca che ne è beneficiaria, e poiché le quote confluiscono nel fondo "Lifin" se le somme saranno superiori al capitale da erogare alla banca la differenza verrà liquidata ai mutuatari";

la buona fede esecutiva, che trova la propria ratio nel principio solidaristico di cui all'articolo 2 della Costituzione, impone quindi alla banca di agire, anche in via informativa, in modo da preservare la controparte contrattuale, mentre, l'art. 1176 del codice civile statuisce che "nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata", sicché la banca, svolgendo attività professionale, deve adempiere a tutte le obbligazioni assunte nei confronti dei terzi, con la diligenza particolarmente qualificata dell'accorto banchiere, non solo con riguardo all'attività di esecuzione di contratti bancari in senso stretto, ma anche in relazione ad ogni diverso tipo di operazione oggettivamente esplicata (si veda la sentenza della Cassazione n. 13777/2007);

dopo una lunga trafila, determinata da procedimenti giudiziari incardinati da avvocati delegati Adusbef e culminati nella sospensione all'esecuzione (Tribunale di Tivoli), in cui sono stati contestati la scarsa trasparenza sul prodotto assicurativo, che in realtà, diversamente da quanto falsamente prospettato, non garantiva affatto la restituzione del capitale, una recente sentenza del Tribunale di Roma ha accertato che a causa del difetto d'informativa, la banca Unicredit non può ripetere dal cliente la differenza tra quanto corrisposto, e che il fondo Lifin avrebbe dovuto rivalutare, ed il capitale residuo non maturato, pertanto a causa dell'informativa deficitaria ed ambigua dovrà essere la stessa assicurazione Aviva a corrispondere quanto dovuto ad Unicredit, determinando così la condanna delle parti alle spese del giudizio,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo sia al corrente del dramma di migliaia di famiglie titolari di un contratto "Assimutuo";

se non ritenga che siano platealmente viziati tali contratti capestro a danno delle famiglie, con i sottoscrittori non compiutamente informati del rischio di perdite, i cui contratti non sarebbero stati sottoscritti nel caso di informazioni chiare e trasparenti sull'alea di rischi addossati esclusivamente ai cittadini contraenti;

se non ritenga opportuno attivare al riguardo le procedure ispettive e conoscitive previste dall'ordinamento, per ristorare i danni inferti a migliaia di famiglie, che rischiano di perdere la casa.

(3-01336)

 

Contenuto pubblico